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Giovedì 28 aprile nella Chiesa di Santa Apollonia, il primo dei due appuntamenti musicali nell’ambito della Salerno medievale, promossi dal Conservatorio Martucci e dalla Bottega San Lazzaro.
L’Ufficio Relazioni Internazionali del Conservatorio di Salerno diretto dalla docente Anna Bellagamba, con la collaborazione della Bottega San Lazzaro, promuove, ormai da anni, numerose iniziative incentrate su una politica di apertura e scambio con giovani musicisti provenienti da tutto il mondo. I Concerti Erasmus incoraggiano coscientemente la cultura dell’integrazione e del dialogo e per questo per l’anno 2014/15, a Salerno è stata riconosciuta dalla commissione europea una “eccellenza” nel campo della implementazione dei principi della Carta Erasmus, per aver realizzato tutti i punti del programma, come consentire anche agli studenti provenienti da famiglie disagiate la partecipazione al programma Erasmus, riconoscendo tutti i gli esami che gli studenti fanno all’estero, i diplomi bilingui, una eccellenza che il Martucci condivide da sempre con l’intera popolazione di una città che ci sentiamo di considerare, oggi, veramente europea.
S’inizierà giovedì 28 aprile alle ore 20 nella cornice abituale della Chiesa di Santa Apollonia con i gruppi da camera preparati dalle docenti Anna Bellagamba e Francesca Taviani. Apertura con il Quintetto op. 44 composto da Robert Schumann nel 1842 e affidato al pianoforte di Aleandro Giuseppe Libano, ai violini di Giovanna Faino e Valentina Palmieri, alla viola di Pasquale Colabene e al cello di Sharon Viola. L’opera rappresenta il primo autentico capolavoro concepito per un ensemble comprendente il pianoforte e il quartetto d’archi, dato che le analoghe precedenti opere di Schubert, Onslow e Hummel richiedono anche la presenza del contrabbasso. Clara, dedicataria e prima interprete dell’opera, lo giudicava a ragione «magnifico, pieno di forza e di freschezza»: giacché in queste pagine Schumann sembra far rivivere tutta intera la vena vivace e la brillantezza delle sue sperimentazioni pianistiche, impreziosite da una scrittura degli archi ora tersa e levigata ora densa e impetuosa. La pienezza del sentimento che sembra dominare da cima a fondo la partitura risveglia immagini di marcato senso romantico ma si presta anche a un’indagine psicologica più minuta e interiorizzata, oscillando tra esuberanti esplosioni di felicità e cupe depressioni, in cui sembra riapparire tutta la tragedia della realtà. I quattro tempi del Quintetto sono articolati in modo così compatto che l’intreccio delle parti mette in luce collegamenti riconoscibili e la struttura nel suo complesso segue il corso di una logica fluente e continua, quasi naturale. Il flautista Cristian Suàrez Guerra e la pianista Pavlina Bonkovà, proporranno l’impressionismo di “La flute de pan” di Jules Mouquet, una pagina datata 1906, che schizza una visione nella natura viva dominata dal dio Pan, in cui le mirifiche sonorità del flauto trovano espressione in cellule e moduli dalle cromatiche inflessioni, risentendo di grandi influenze da parte dei compositori tardo romantici ed impressionisti, prediligendo quindi uno studio sui suoni e suoi timbri ma mai raggiungendo, tuttavia, la profondità e la ricerca armonica di un Debussy, quasi suo coetaneo, e restando in qualche modo legato all’antico più che al moderno. Finale dedicato interamente al lied romantico con protagonista l’avvolgente timbro del registro di mezzosoprano di Michela Rago in duo con la pianista Qian Fang Wei. Si inizierà con Aufenthalt tratto dal I Libro dei 14 lieder Schwanengesang D.957 composto da Franz Schubert nel 1828. Il paesaggio è impervio: il canto che esce da queste gole rocciose è spigoloso; taglienti e granitici sono i ritmi e gli intervalli del pianoforte. Il ribattuto della mano destra è una tipica immagine schubertiana di frenesia: un Si al basso e poi al discanto viene ripetuto ossessivamente, mentre la voce o le altre dita toccano suoni diversi, consonanti e dissonanti. La voluta finale del canto sembra infine già un ricordo smarrito nella notte dei tempi, le fa eco il pianoforte, come è normale che succeda tra quelle rocce. Si passerà quindi, all’ intimità e delicatezza di sentimento racchiuse nel Lied Hör’ ich das Liedchen klagen, dai Dichterliebe op.48 composti da Robert Schumann nel 1840, una omogenea fusione tra il canto e la parola, di cui la musica vuole sottolineare ogni sensazione, e ogni sfumatura della sensazione e ogni particolare della sfumatura. E per penetrarvi con tanta efficacia di effetti l’autore si avvale del pianoforte nella stessa misura con cui si serve della voce solista, e della voce solista con gli stessi intenti espressivi affidati anche alla tastiera. Chiusura tutta “In solitaria stanza”, con il segno giovanile di Giuseppe Verdi datato 1838. La sua prima opera sono sei romanze per canto e pianoforte di sapore belliniano, non prive di qualche curiosità. Il mezzosoprano proporrà questa pagina su testo del poeta Jacopo Vittorelli, in cui si trova un inciso melodico che anticipa una frase di Leonora ne’ “Il Trovatore”.