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Nell’ultima puntata delle Iene Gianluca Grignani si è raccontato in un monologo toccante, mettendosi a nudo per la prima volta dopo anni. Ha raccontato con sincera commozione l’inferno che si è lasciato alle spalle senza tralasciare nulla, raccontando tutti i dolori e le sofferenze provate nella sua vita. Una dipendenza è un mostro che si attacca addosso e non ti lascia più via, si ciba della tua stessa vita, ti logora da dentro conoscendo a fondo ogni tua minima debolezza. Il monologo di Grignani è uno di quei racconti di vita che vanno soltanto ascoltati in silenzio e provare imbarazzo se si è tra quelli che in passato l’hanno deriso per le sue condizioni.
Grignani, lo sappiamo tutti, è uno dei più grandi talenti italiani che nella sua carriera ha scritto alcuni capolavori bellissimi come Destinazione Paradiso, Cammina nel sole, La mia storia tra le dita. Una sensibilità fuori dal normale, dentro gli schemi lui non c’è mai stato ed ancora una volta, ce l’ha dimostrato.
La bottiglia di vodka volteggia nella mia mano lungo il soppalco della villa che si affaccia sulla collina di vigneti – ha esordito il cantante -. Indosso una vestaglia blu. La sostanza è nascosta sapientemente in bagno: ogni tanto la vado a trovare, per non cedere a qualcosa che neanche io so cosa è. L’alcol non fa effetto, non mi calma. Sono solo. Lo spazio che separa il soppalco dal pavimento è come la caduta libera dalla cima dell’Everest al fondo della Fossa delle Marianne».
«Il mio cervello srotola immagini e pensieri in quest’ordine: padre, madre, figli, lavoro, amici – ha continuato – . Mi sento cadere, ma il mio corpo è ancora lì. Fermo. Immobile. Grido: “La mia vita per un motivo…aiuto!”. Questo è un episodio del mio passato, mi sono messo a nudo, vi ho raccontato quello che ho lasciato alle spalle. Spero così di aver guadagnato la vostra fiducia in quanto a sincerità».
“Ora vorrei dirvi quello che penso io del futuro. Fatemi partire da una massima che è un po’ che tengo nel cassetto. Non date mai ad un poeta in mano una chitarra, vi racconterebbe quello che i poeti nascondono in fondo al fiume della tristezza, e il resto del mondo potrebbe scambiarlo per un grido di guerra. Ecco, questo siamo noi, il resto del mondo. Confusi, influenzabili, bramosi di trovare una risposta su cosa è il bene e cosa è il male. Passati anche attraverso una pandemia che non avevamo mai visto. Siamo alieni che non si riconoscono gli uni dagli altri. Poi c’è la Generazione Z che io ho ribattezzato “V”, come Vittoria, quelli che identifico come una mano tesa… Quelli che non hanno mai avuto bisogno dei libri perché hanno sempre avuto un computer, quelli per cui è normale che un telefono faccia tutto tranne il caffè, loro che vengono indicati come la generazione dispersa, quella che non ha radici. Invece è la prima generazione che non è stata educata col motto mors tua vita mea, loro non credono che tutto sia lecito, che la vittoria sia di uno solo e che vinca solo il più forte. È la generazione dell’inclusività, capace di rendere tutti uguali nelle differenze. La generazione del cambiamento, la famosa mano tesa verso il futuro, la mano del futuro. E da musicista voglio immaginare per loro, e per noi mi auguro, un finale diverso di una canzone famosissima degli Eagles, Hotel California. In questo finale, anziché rimanere incastrati in un futuro senza immaginazione come nella versione originale, ci troveremo tutti, nessuno escluso, di nuovo nel deserto. Liberi, con l’orizzonte davanti e con un inferno di fuoco ormai alle spalle. Ecco il mio augurio. Un finale diverso e un nuovo miraggio. Una nuova Hotel California. Hotel California 2022″.
Che finale Gianluca, proprio come i tuoi testi. Timido quasi davanti alla telecamera hai mostrato una verità che a volte è difficile mostrare anche a se stessi davanti allo specchio. Ma tu l’hai fatto, e per farlo ci vuole tanto coraggio.
Valerio Autuori
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